Anche noi traduttori freelance andiamo in ferie. Lo so, è da non crederci.…
Lavoro da freelance: 5 cattive abitudini da evitare
Le buone abitudini piacciono un sacco, ma è noto a tutti che sono quelle cattive ad essere le più facili da coltivare e portare avanti. Del resto non richiedono sforzo attivo, solo una placida passività.
Il problema si presenta quando tali malsane abitudini si pongono come ostacolo ai nostri progressi in ambito lavorativo. Quando si parla di lavoro come freelance, una condizione che per sua stessa natura non prevede alcun tipo di sicurezza, questa non è una sciocchezza da nulla. Non sostengo che sia accettabile quando si è invece alle dipendenze di terzi, ma credo vi sia in teoria un margine di sicurezza più ampio, se così si può dire.
Quali possono essere queste cattive abitudini sul lavoro? Pensando a quelle che hanno rappresentato una sfida per me, eccone un breve elenco. Magari qualcuna risponde al tuo caso.
1. Organizzazione, questa sconosciuta (che è giunta l’ora di conoscere)
Ti sforzi di mantenere l’ordine, di tenere tutto sotto controllo e di essere ligio nell’intento, ma hai l’impressione di perdere dei pezzi o ti capita di consegnare “puntualmente in ritardo”…? Hai bisogno di ri-organizzarti e ri-definire le tue priorità.
Intanto un distinguo: “organizzazione” e “ordine” sono due concetti ben diversi. Si può essere ordinatissimi ma disorganizzati o, viceversa, disordinati ma super organizzati.
Per rimettere figurativamente ordine, non tanto (o solo) nel tuo spazio di lavoro, è necessario ripartire dalle basi. Occorre creare a poco a poco abitudini differenti che permettano di non perdersi nel proverbiale bicchier d’acqua.
Qualche esempio? Come dico sempre, io non riuscirei a vivere senza la mia agenda da tavolo, su cui appunto ogni più piccola incombenza. So che inizio a essere più produttiva verso le 9, perciò fino a quell’ora ho l’abitudine di occuparmi di quanto non richiede eccessiva attenzione (vedi: email, pianificazione dei post, pubblicazione di contenuti, lettura). Sono tutte cose molto veloci da sbrigare, per cui le depenno una dietro l’altra e ne ricavo gran soddisfazione. Dalle 9 in poi, così ringalluzzita (lo usate mai questo termine?), do priorità al lavoro vero e proprio.
2. Tecnologia e cyberslacking (da casa)
Avete presente quelle persone che provano nostalgia per i cosiddetti “bei tempi andati”, quando ancora computer e smartphone non erano se non una vaga idea di futuro da romanzo di fantascienza?
Non rientro tra quelle. Computer e smartphone mi permettono di lavorare in completa autonomia e continuano a darmi enormi soddisfazioni. È tuttavia indubbio che, se da una parte possono dare, dall’altra hanno altrettanta capacità di togliere. Social network come Facebook, Instagram o Twitter, per esempio, sono solo una tra le innumerevoli distrazioni disponibili in rete.
Quando le persone che sfruttano la rete o i computer aziendali per scopi personali non sono freelance ma lavoratori dipendenti, si parla di cyberslacking. Se il luogo di lavoro è invece la propria casa, la quesione si fa più complicata. Non c’è nessuna violazione da infrangere e nessuno che stia lì a controllare come trascorri il tuo tempo. Perdersi nei meandri della rete, tra un video di YouTube e l’ultimo podcast della nostra trasmissione radiofonica preferita, è ancora più facile.
Valutare con obiettività quale sia il proprio rapporto con le tecnologie è dunque fondamentale. Se usati a dovere, i social e la tecnologia in generale possono risultare utili per fare rete con i colleghi, scambiare e reperire informazioni, rimanere aggiornati sulle ultime novità del settore. Se usati male, ti fanno perdere intere giornate di lavoro.
Tra le mie abitudini vi è quella di non lasciare mai i social aperti sul browser in uso e di impostare il cellulare in modalità silenziosa. Ogni tanto vado a dare un’occhiata e a controllare eventuali messaggi, ma solo quando prendo una pausa e non in risposta a un segnale acustico (alla Pavlov, per intenderci).
3. Dimmi come usi i social e ti dirò chi sei (e se mi ispiri fiducia)
Di nuovo i social? Ebbene sì. Oltre alla distrazione, c’è un altro aspetto da considerare quando si parla dei canali social, ma anche di Internet più nel complesso: l’“immagine” che restituiamo di noi stessi come persone.
In poche parole, visto ciò che la rete rappresenta oggi e l’ampio e continuativo uso che ne facciamo, si è fatta molto più labile, se non inesistente, la distinzione tra sfera privata e pubblica. Tutto ciò che pubblichiamo è di dominio pubblico o può diventarlo. Oltre alle certo necessarie considerazioni personali che occorre fare in questo senso, bisogna anche tener conto del significato che questo aspetto assume a livello lavorativo.
Negli ultimi anni è già accaduto: per un comportamento online considerato inappropriato, diverse persone sono state licenziate e allontanate dal proprio posto di lavoro. Questo è il lato visibile della questione. È infatti molto difficile dire con esattezza quante volte si venga valutati per un lavoro anche sulla base di quella che è la propria immagine online.
Per un libero professionista è allora ancora più importante fare di Internet un uso oculato e tenere a mente che ciò che scrive potrà essere letto non soltanto da amici intimi e familiari, ma anche da potenziali clienti.
Il che non significa dover nascondere in maniera attiva tutto ciò che riguarda la propria sfera personale. Significa piuttosto prestarci attenzione e pensiero, prendendo la buona abitudine di valutare, di volta in volta, se ciò che si sta pubblicando o scrivendo in un ambiente virtuale pubblico sia appropriato e in linea con l’immagine professionale (ma anche umana) che si ha desiderio di trasmettere.
4. La perfezione esiste (ma non ti riguarda)
Un’altra tra le abitudini che ritengo dannose è quella che si instaura di solito quando “senti di essere arrivato”. Capita nel momento in cui hai ormai una tua tabella di marcia lineare e senza intoppi, ma ogni giorno uguale a quella del giorno precedente, che non presuppone alcun tipo di riflessione o miglioria che possa indurti a crescere. Da una parte è positivo: hai ottimizzato i tuoi processi di lavoro. Dall’altra rischia di trasformarsi in una condizione permanente di mancanza di stimoli e aggiornamento.
Che c’è di male in questo? Di per sé niente, se fatta con coscienza è una scelta legittima. Credo però che come freelance si debba sempre cercare di fare un passo e cercare di tenersi aperti a più opzioni e possibilità. Aggiornarsi, studiare, osservare i cambiamenti del mercato sono attività fondamentali se non ci si vuole ritrovare in un prossimo futuro ad alzare la testa dal proprio lavoro e rendersi conto che sono mutate le richieste e le esigenze dei clienti. Se allora una routine deve esserci, questa deve contare anche questi aspetti,
Per quella che è la mia esperienza, mantenersi sempre in ascolto e non smettere mai di alimentare la propria curiosità è una delle abitudini che più ripaga nel lungo termine. E va coltivata.
5. Il suggerimento che rimane sulla punta delle dita (e non raggiunge la tastiera)
La quinta malsana abitudine è in realtà un invito alla partecipazione. Penso a tutte quelle volte che, leggendo blog, post o scritti di colleghi traduttori, ho pensato di commentare o dire la mia, infine lasciando perdere. Vuoi per timore di espormi, di dire magari delle sciocchezze, oppure perché non mi sembrava fosse il caso. Il confronto ho iniziato a cercarlo anni dopo, armata di un po’ di coraggio ed esperienza in più. Gli scambi che sono nati da quelle interazioni si sono rivelati sovente importanti e preziosi, sia a livello professionale che personale.
Oggi descrivo dunque quell’insicurezza di un tempo come una mia personale cattiva abitudine. Perché dopo un po’ di sforzo iniziale, col tempo ho iniziato ad acquisire coraggio e ad abituarmi anche ad espormi, o all’idea di poter fare una brutta figura ogni tanto. La verità è che scambi di questo tipo portano semplicemente a conoscere persone nuove e ad arricchirsi di punti di vista differenti. Un rischio che per me vale la pena correre.
In caso tu decidessi di voler partecipare proprio adesso e proprio a questo post, ti lascio con un quesito: se questo elenco delle 5 cattive abitudini da evitare sul lavoro lo avessi scritto tu, di quali avresti scelto di parlare?
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