Skip to content

Una lezione di Philip Kotler applicata alla traduzione

Qualche giorno fa ho letto che secondo Philip Kotler, uno degli esperti di marketing più importanti al mondo, “il venditore di successo si preoccupa prima del cliente, secondariamente della vendita dei prodotti”.

Anche noi traduttori rientriamo nella categoria dei venditori? Certo.

Traduzioni, revisioni, consulenze… sono tutti servizi che cerchiamo in un modo o nell’altro di proporre e “vendere”, tentando di spiegare il motivo per cui sia tanto importante che il testo risulti curato a livello linguistico e culturale sotto qualsiasi punto di vista.

In quest’ottica, ogni volta che rifiuto una richiesta di traduzione a cui non posso dedicare la giusta attenzione o che richiede che io impieghi le mie competenze per tradurre in attiva (ovvero in una lingua diversa dall’italiano, che è la mia lingua madre), penso alle parole di Kotler.

Detto tra noi, tale scelta di non tradurre verso le mie lingue di lavoro, quindi l’inglese o il francese, pare la capiscano soltanto i colleghi, e neanche tutti. Chi non è del mestiere, invece, la considera proprio una presa di posizione insensata e antieconomica.

Dal mio punto di vista, non è nessuna delle due cose. Anzi, sono convinta che concorra ad offrire al cliente uno dei servizi più importanti che, in quanto venditori, possiamo promettergli: il sorriso.

Il sorriso sul volto del cliente

 

Il sorriso sul volto del cliente

 

Sempre secondo Kotler, il servizio primario di ogni azienda consiste nel “mettere un sorriso sul volto del cliente”.

Questo cosa c’entra col rifiutare un incarico di traduzione in attiva o se magari l’argomento trattato non mi è affine?

C’entra perché è vero che sul momento guadagnerei di più, ma i risultati sarebbero disastrosi nel lungo periodo.

Nel breve periodo, se l’incarico non è verso la mia lingua madre o relativo ai miei settori di specializzazione, il suo svolgimento comporterebbe un dispendio di energie molto maggiore rispetto alla norma. Nessun problema da questo punto di vista, ma se io ci metto tre volte tanto, anche la mia tariffa dovrebbe essere triplicata? Non sarebbe corretto. Dovrei anzi tener conto della mia esperienza limitata, perché questo comporterebbe una più alta probabilità di commettere errori e quindi di consegnare un lavoro approssimativo o poco curato.

Risultato?
Tanta fatica e frustrazione e un cliente potenzialmente insoddisfatto.

Questo va a incidere anche nel lungo periodo, perché è difficile che con risultati simili ci si possa creare una clientela fedele e soddisfatta.

Ho dunque questa folle idea per cui sia meglio rinunciare a un guadagno immediato che potrebbe anche allettare, soprattutto in periodi in cui il flusso di lavoro è un po’ più lento, ma cercare di agire sempre nel massimo interesse e rispetto del mio cliente, effettivo o potenziale che sia.

La mia scelta è dunque orientata al farlo sorridere, secondo il senso che ne dà Kotler, offrendogli indicazioni per trovare il professionista che fa al caso suo, nella fattispecie un/a collega madrelingua oppure specializzato/a nel settore di interesse (o entrambe le cose).

Risultato?
Pochi impicci e un cliente e un/a collega soddisfatti.

Credo che tale soddisfazione sia la pubblicità più potente che ci possa essere.

Tu come la pensi? Dimmelo in un commento! 👇

Questo articolo ha 4 commenti

  1. Sono assolutamente d’accordo con quanto hai scritto. Il traduttore professionista serio traduce solo nella propria lingua madre e nel proprio ambito di competenza. Ed è verissimo che chi non è del settore questa cosa proprio non la capisce. Ho trovato molte mie considerazioni nelle tue parole, leggerti è stato davvero “refreshing”! Grazie!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna su

Per iscriverti alla newsletter, fai clic qui