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Lavorare come interprete | Intervista a Chiara Martini

Lavorare come interprete

Cosa significa lavorare come interprete professionista?

Nell’ultimo post/podcast che ho pubblicato e che avevo dedicato ai motivi per i quali ci si rivolge a un traduttore, ho anche accennato al lavoro degli interpreti .

Un interprete funge da ponte tra due culture esattamente come un traduttore ma, diversamente da questo, si misura con la forma orale della lingua. Per svolgere bene il proprio lavoro deve sviluppare e curare capacità molto differenti e specifiche.

Quali e perché? Ma soprattutto, come “funziona”?

Ho pensato potesse essere un’idea interessante approfondire la tematica e per questo ho invitato un’ospite che ritengo sicuramente più adatta di me a parlarci di questa magnifica professione.

Di chi si tratta? Della mia collega e amica Chiara Martini, traduttrice specializzata nel settore finanziario ma anche interprete professionista. Chiara fa parte di ASSOINTERPRETI – Associazione Nazionale Interpreti di Conferenza Professionisti.

Potete scegliere di ascoltare l’intervista sul podcast qui sotto oppure di leggere il sunto che segue.

Lavorare come interprete professionista

Intervista a Chiara Martini

Chiara, grazie per essere qui con noi. Come prima cosa, ci vuoi parlare della tua storia e di quando hai scelto di fare dell’interpretariato la tua professione? Come sei arrivata a lavorare in questo settore?

A me sono sempre piaciute le lingue, fin da piccola. Già alle superiori avevo intrapreso un percorso linguistico e ricordo che all’epoca c’erano dei programmi in televisione dove spesso c’erano ospiti stranieri e, accanto a loro, delle interpreti che li traducevano. A 15-16 anni ne sono rimasta affascinata e ho deciso di diventare un’interprete anch’io.

Ho studiato Traduzione e interpretariato alla triennale e poi ho seguito la specialistica in Interpretariato di conferenza, che è ciò che di solito studiano gli interpreti professionisti. Poi ci sono ovviamente casi eccezionali di persone che sono particolarmente portate, magari bilingue dalla nascita, ma questo non significa che chiunque sia bilingue possa diventare un interprete. Si sono comunque formate in altro modo, finendo in seguito a lavorare nel mondo dell’interpretariato.

Sicuramente interpretare vuol dire anche conoscere delle tecniche che è necessario imparare. Se non si sa nemmeno che cosa sia una simultanea o una consecutiva, non ci si può improvvisare sperando di riuscire a fare bene il lavoro. Studiare e prepararsi è fondamentale.

Proprio in merito a questo, non tutti sanno che lavorare come interprete significa saper operare con diversi tipi di interpretariato. Interpretazione simultanea, consecutiva, di trattativa… Che differenze ci sono? 

L’interpretazione simultanea è quella in cui l’interprete traduce quasi in contemporanea all’oratore che parla. Si può pensare a un convegno oppure, esempio più lampante, a ciò che accade nelle grandi istituzioni, come l’Unione europea o l’ONU, dove gli interpreti lavorano in cabine insonorizzate, ricevendo l’audio in cuffia e traducendo in simultanea. “Quasi” in contemporanea perché c’è sempre un tempo di scarto in cui si ascolta. Si comincia a tradurre soltanto dopo qualche secondo.

L’interpretariato in consecutiva prevede che l’oratore parli per un certo periodo di tempo, di regola 3-5 minuti. L’interprete nel frattempo prende appunti con delle tecniche specifiche e infine, quando l’oratore si ferma, l’interprete traduce quella parte. Si va avanti così per tutta la durata del discorso.

Quando spiegavo che occorre imparare a usare determinate tecniche, mi riferivo ad esempio alla presa degli appunti. Il modo in cui l’interprete prende appunti durante un interpretariato in consecutiva non è certo come prendere appunti all’università.

C’è anche l’interpretariato cosiddetto chuchotage, termine francese che significa “sussurrare”. È come un’interpretazione simultanea ma senza cuffia o microfono. Di solito ci si siede di fianco o dietro alla persona per cui bisogna tradurre. Alla luce della situazione attuale, con le misure di sicurezza messe in atto a causa della pandemia, è una pratica infattibile.

Infine c’è l’interpretariato di trattativa, di norma richiesto per trattative commerciali o riunioni d’affari. C’è l’interprete, ci sono le due parti, e l’interprete traduce quello che dice una parte o l’altra, due-tre frasi alla volta in base al contesto.

Tutte tecniche diverse che rispondono a situazioni differenti. Ciò che una persona vede del lavoro dell’interprete dall’esterno è solo il risultato, la cosiddetta “punta dell’iceberg”. Hai voglia di raccontarci qual è la preparazione richiesta a un interprete professionista per lo svolgimento di un singolo incarico? 

Per ogni incarico di norma si conosce per lo meno l’argomento di cui si parlerà, chi saranno gli oratori, oppure si può fare riferimento a un programma nel caso si tratti di una conferenza, con i titoli e gli oratori dei diversi interventi. Ci si prepara concentrandosi su questi aspetti specifici. Non è detto che si conosca tutta la terminologia, perciò si crea prima di tutto un glossario sull’argomento, cercando online varie fonti. Oltre a ricercare e studiare la terminologia, si studiano naturalmente anche gli argomenti in generale.

Se gli oratori sono noti e sono abbastanza famosi, magari si possono cercare su Internet dei discorsi da loro già tenuti. In quel caso, tempo permettendo, si possono ascoltare e ci si può allenare a interpretare le loro parole, così da abituarsi un po’ anche all’accento.

C’è sicuramente del lavoro da fare, non è che dall’oggi al domani ci si lancia nel vuoto come qualcuno potrebbe pensare.

Purtroppo ci sono volte in cui non si dispone di alcuna informazione se non luogo, ora e il titolo di qualche intervento. In quei casi bisogna cercare di fare del proprio meglio e prepararsi come si può.

Eppure nel momento in cui si svolge il lavoro occorre comunque trovare soluzioni…

Questo sì. Diciamo che potrebbe essere un po’ più semplice se si tratta di un lavoro di simultanea, perché in cabina si ha il proprio computer collegato a Internet. Questo significa che se si sentono termini mai sentiti prima o della cui traduzione non si è ben sicuri, si possono cercare velocemente nel corso del lavoro.

Se si tratta di una consecutiva è un poco più complesso perché si è da soli e si hanno con sé soltanto il blocco degli appunti e la penna. Bisogna tentare di capire quanto più possibile ciò di cui si sta parlando e cercare di spiegarne il significato. Poi se abbiamo fatto tutto ciò che era in nostro potere prima, non possiamo neppure essere fustigati dopo…

Spero siano proprio casi limite e che non si verifichino così di frequente. Sempre a proposito di preparazione, so che per lavorare come interprete è necessario anche rimanere allenati tra un incarico e l’altro, per mantenere la rapidità e la prontezza necessarie. Come funziona?

Quando si ha l’opportunità di lavorare come interprete con assiduità non si ha tanto bisogno di allenarsi perché lo si fa già svolgendo il lavoro in sé. Purtroppo, vista la situazione legata alla pandemia che si è verificata, c’è stato un calo drastico dei lavori per gli interpreti e parallelamente ho notato che sono nati moltissimi gruppi di pratica su Internet. Magari esistevano già prima, ma erano in presenza. Alcuni di questi si sono invece spostati su Internet e hanno deciso di organizzare delle sessioni di esercitazione online.

Per quanto mi riguarda, quando sento il bisogno di allenarmi, soprattutto per la simultanea, che richiede una particolare rapidità, cerco di tradurre discorsi che trovo su YouTube o su vari siti, come ad esempio i siti dell’Unione europea. O magari cerco i vari discorsi tenuti dal Presidente della Repubblica o da altre figure di spicco.

Per esercitarsi da soli è importante essere abbastanza obiettivi da potersi giudicare in modo critico, riuscire a dire: “ok, non l’ho fatto bene perché potevo farlo diversamente…”.

Anche perché immagino che, nel momento in cui vi allenate tra voi, ci sia anche questo scambio di riscontri sul modo in cui si è lavorato.

Sì, è proprio su questo che volevo andare a parare. Perché se uno fa esercizio da solo deve essere in grado di valutarsi da solo. Nei gruppi di esercitazione, invece, di solito si è in due, quindi una persona fa la simultanea e l’altra ascolta e prende appunti, così da poter dare un feedback costruttivo e spiegare quali potevano essere i punti positivi e quelli invece critici.

Sì, ci vuole un buon lavoro di squadra. Bisogna fidarsi del collega e del suo metro di giudizio, immagino…

Quello sicuramente, però so che questi gruppi di pratica hanno creato degli standard strutturati per fornire i feedback, e questo è sicuramente d’aiuto.

Sempre a proposito di rapporti con i colleghi… Dal mio punto di vista, ovvero quello di una traduttrice, lavorare come interprete significa anche avere molto più contatto con i colleghi, con i quali si collabora proprio per le esigenze del lavoro in sé. È un’impressione che corrisponde a realtà?

Sì, soprattutto quando si tratta di incarichi di simultanea che durano più di un’ora, di norma ci sono almeno due interpreti. Se si superano addirittura le 7-8 ore, ce ne sono persino tre che si danno il cambio.

Sicuramente è importante essere cooperativi, anche affiatati, perché ogni 20-30 minuti si sostituisce il collega per mantenere alto il livello di concentrazione e riuscire a svolgere un buon lavoro.

Come dicevi, l’emergenza legata alla pandemia ha colpito anche il settore dell’interpretariato. A questo proposito ho letto della diffusione di molti servizi di interpretariato a distanza. In quel caso come funziona e come si riesce a collaborare con i colleghi?

Sì, nell’ultimo periodo sono nate tantissime piattaforme di interpretariato a distanza, meglio noto come Remote Simultaneous Interpreting (RSI). Sono state sviluppate da varie aziende per dare modo ai meeting organizzati online di disporre della traduzione simultanea. Ci sono diverse piattaforme ma tutte relativamente simili tra loro, nel senso che tutte hanno cercato di riprodurre sullo schermo del computer la console che gli interpreti usano di solito in cabina. Attraverso questa console, l’interprete riceve l’audio e traduce.

Tutte queste piattaforme hanno tuttavia dei limiti. Primo tra tutti, proprio il fatto che non si è vicini ai propri colleghi. Questo rende certo molto più complicata la comunicazione mentre si lavora, perché prima era possibile comunicare magari scrivendosi qualche appunto o messaggio su un foglio di carta, o anche con un semplice cenno.

Inoltre, come ribadito anche da altri interpreti, queste piattaforme hanno un problema di audio, che non è come l’audio che si riceve durante un convegno normale. In merito, se vi interessa, potete cercare su LinkedIn il profilo di Andrea Caniato, che ha scritto diversi articoli sul problema dell’”audio tossico“. Sia Assointerpreti che FIT Europe hanno organizzato dei webinar con Andrea Caniato e Cristian Guiducci in proposito.

Questa è la situazione attuale e, se da una parte dobbiamo adeguarci e adattarci, dall’altra è importante non accettare le cose così come sono, ma anzi lavorare per migliorarle. Anche perché non è possibile pensare di lavorare, da adesso fino a chissà quando, con un audio che può influire negativamente sulla nostra salute.

Quindi lavorare come interprete è ora più difficile non soltanto per via della riduzione drastica delle occasioni di ingaggio, ma anche per via degli strumenti a disposizione dei professionisti, ancora non ottimali.

Sì, purtroppo la situazione non è semplicissima. Noto però che nel settore si stanno cercando di trovare varie soluzioni. Non siamo fermi, e questa è indubbiamente una cosa positiva.

È un’altra forma di collaborazione, alla fin fine. Un’ultima domanda. Lavorare come interprete non è come lavorare come traduttore anche sotto un altro punto di vista, più “emotivo”, se così possiamo dire. Lavorare come interprete presuppone infatti il ritrovarsi sovente in situazioni di stress elevato, magari di fronte a un pubblico, in circostanze tali da dover trovare una soluzione molto velocemente, con nervi saldi, regolando la voce… Tu come la gestisci? Se ti capita di commettere errori, come risolvi la situazione?

Sicuramente ci sono volte in cui posso essere più nervosa prima di un incarico e capita di solito quando non mi sono state fornite sufficienti informazioni. In quei casi, sia io che altri colleghi sappiamo bene che stiamo andando un po’ alla cieca…

Ciò che ho notato col tempo è che, nonostante possa essere nervosa fino a poco prima dell’inizio, una volta che comincio tutto questo nervosismo, tutta quest’ansia, è come se sparisse. Forse perché a quel punto sono talmente concentrata a tradurre da non avere nemmeno il tempo di pensare al fatto che fino a poco prima ero nervosa.

Ci sono sicuramente dei momenti che possono essere più toccanti da un punto di vista emotivo e questo dipende da chi si sta traducendo. Io ad esempio non ho mai lavorato con i rifugiati ma immagino che lavorare come interprete per persone che hanno vissuto situazioni così estreme non sia sicuramente facile come svolgere lo stesso lavoro magari per qualcuno che sta semplicemente presentando uno studio di marketing. Dal punto di vista emotivo, sono due cose molto diverse.

Per quanto riguarda il commettere errori, in simultanea può capitare anche per una questione di fretta. Ci si può semplicemente correggere dicendo qualcosa del tipo “Scusate, intendevo…”, oppure “L’interprete si scusa. In realtà l’oratore intendeva…”.

Ricordo ancora oggi un aneddoto raccontato da un mio insegnante all’università su una sua collega. Si era resa conto di aver tradotto una frase in modo completamente sbagliato e subito dopo, con moltissima prontezza di spirito, aveva concluso con “E qui lo dico e qui lo nego”, come se fosse stato proprio ciò che aveva detto l’oratore. Nel contesto filava perfettamente e pare che nessuno si sia accorto di nulla. Ho trovato questa storia molto interessante e continuo a tenerla a mente sperando prima o poi di poterla usare anche io.

Con questo aneddoto si è conclusa la mia chiacchierata con Chiara Martini sul lavorare come interprete. Trovo sempre molto interessante confrontarmi con altri professionisti che, come me, lavorano con le lingue ma con modalità e strumenti del tutto diversi.

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