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Lavorare da casa: l’ecosistema di un traduttore freelance

Lavorare da casa: il sano ecosistema di un traduttore

Vista la situazione che si è venuta a profilare di recente, per la quale tante persone sono state “gentilmente invitate” a portare avanti il lavoro da casa, si è palesato ciò che in molti già sostenevano da anni e anni: lavorare da casa permette di tagliare costi e sprechi. È emerso tuttavia anche un aspetto diverso, meno considerato: lavorare da casa può rivelarsi più arduo di quanto si pensi, soprattutto per quanto riguarda il contatto umano.

“Perché? Se rimani a casa il contatto umano in famiglia non ce l’hai?”

A parte che non è detto, visto che una persona potrebbe benissimo vivere da sola. Al di là di questo, il contatto umano con la propria famiglia il più delle volte è differente da quello instaurato con i colleghi. Se non si creano sin da subito delle buone abitudini, il contatto con la famiglia potrebbe facilmente degenerare.

Dunque, tra le tante criticità che si potrebbero individuare nel lavorare da casa o da remoto, per molti il problema di natura relazionale la fa da padrona.

Lavorare da casa: il valore del confronto

Tempo fa ho seguito un’interessante — … come definirla? — chiacchierata tra alcuni imprenditori digitali proprio in merito alla questione del lavoro da remoto. Contando numerose aziende con dipendenti sparsi in tutto il globo, si erano dovuti confrontare con il ruolo che l’assenza di relazioni può giocare all’interno delle dinamiche lavorative.

La domanda posta era: “Quando si opera da remoto, il lavoro viene percepito in maniera differente?”

Di fatto, sì.

In primo luogo per le aspettative. Quando si approcciano per la prima volta al lavoro da remoto, le persone tendono a vedere solo i lati positivi. Pensano alla libertà di poter lavorare davanti al computer in pigiama, alla comodità di non dover usare la macchina o prendere i mezzi pubblici, al piacere di non doversi confrontare con il fare un po’ aggressivo del capo o con quel collega noioso che, manco a farlo apposta, tira su col naso ogni due-minuti-due. Eppure, anche starsene a casa a lavorare in autonomia alla lunga può diventare stancante, perché mancano obiettivi e stimoli nuovi.

In secondo luogo, la presenza fisica dà una maggiore sicurezza e rende il lavoro in qualche modo più concreto, reale.

Secondo l’opinione di quegli imprenditori digitali, ciò che risulta importante è riuscire a trasmettere ai dipendenti i valori e il sistema di credenze proprio dell’azienda. Non solo. Ciò che è davvero fondamentale è riuscire a dare valore al momento del confronto, quello in cui si concretizza la relazione. Soltanto così qualità e rendimento possono rimanere costanti. Altrimenti, “a distanza di tempo e senza un contatto, una persona può sentirsi persa“.

La necessità di un nuovo ecosistema

Le cose stanno così: da una parte abbiamo l’azienda di tipo tradizionale, che si prende carico della vita sociale del collaboratore in modo passivo. In che modo? Lo accoglie tra le pareti degli uffici, negli spazi dei suoi immensi magazzini e capannoni, negli stretti passaggi dei corridoi, coccolandolo tra una macchinetta del caffè, la pausa pranzo, qualche assemblea e un’area fumatori.

Anche le aziende nuove, quelle liquide, nutrono quello stesso identico bisogno: necessitano di un proprio ecosistema che permetta di far percepire al collaboratore il significato del suo operato, di dargli un senso, dotarlo di un contesto. Per far questo, però, devono escogitare modalità nuove per fare e creare rete, relazioni, perché di fatto prive di un luogo fisico fatto e finito.

Come spiegava uno degli imprenditori di cui vi ho parlato: “In remoto, invece di lavorare sulla quotidianità, che è poco memorabile, bisogna lavorare in modo intensivo su quei 3-4 momenti durante l’anno in cui ci si incontra“.

Assume grande rilevanza essere in grado di costruire in maniera scrupolosa e sistematica quei momenti di confronto a cui ho accennato prima, che permettono di percepire la relazione come reale. “Dando molto valore a quegli incontri, quando le persone tornano a casa hanno quello come ricordo positivo e non si concentrano sull’eventuale monotonia della quotidianità”. L’obiettivo finale consiste dunque nel trasmettere sensazioni positive e un senso di appartenenza.

Pensandoci, sono arrivata a questa conclusione: funziona proprio così anche per noi traduttori.

L’ecosistema del traduttore freelance

L'ecosistema del traduttore freelance

È vero, lavoriamo in solitaria, rincantucciati tra le nostre quattro mura. Ma siamo davvero così soli? Perché se ci pensate, col passare del tempo, molti di noi iniziano a far parte di un ecosistema molto ben nutrito.

Penso ai forum di siti come Proz o TranslatorsCafé, per dirne una. Oppure alle newsletter di supporto come quella di Langit Club. Ancora, agli innumerevoli gruppi Facebook per scambiarsi informazioni, chiedere aiuto o anche solo scambiare due chiacchiere.

L’universo del web è immenso e i luoghi di incontro infiniti, a maggior ragione per noi traduttori, che amiamo spaziare tra ambienti linguistici diversi.

All’aspetto virtuale si accompagna però anche quello reale e di momenti memorabili ne creiamo di continuo. Incontri, raduni, conferenze, fiere di settore, colazioni, pranzi e talvolta anche cene!

Condividiamo momenti, attimi e pensieri senza sosta. Giorno per giorno, questi contribuiscono a plasmare quello che chiamerei il “sano ecosistema di un traduttore“, ovvero quell’invisibile e prezioso sistema di supporto che ci permette di fare rete con i colleghi.

Pur spesse volte distanti, questi stessi colleghi finiscono per incidere sulla nostra quotidianità in modo tangibile, certo più reale che virtuale. Col tempo, capita che si trasformino in incredibili compagni di avventura e sventura, in complici perfetti. Talvolta, nei casi più fortunati, diventano persino cari amici.

In quest’ottica, posso dire con una certa convinzione che, senza il mio personalissimo ecosistema, non potrei dirmi altrettanto soddisfatta del mio lavoro.

Vale anche per te? Qual è la tua esperienza in merito? Lasciami un commento 👇

Questo articolo ha 2 commenti

  1. Oggi mi hai regalato qualcosa di prezioso, molte risposte a domande che avevo da tempo.

    Non sono una traduttrice, sono fondatrice di un progetto imprenditoriale che sviluppa un’applicazione per l’apprendimento e la comunicazione con le lingue straniere.

    Come imprenditrice, il mio ecosistema non è molto popolato, è turbolento e instabile. Le mie ultime interazioni vituali lasciano un senso di distanza e freddezza. La gente non ha il tempo di parlare virtualmente.

    Mi chiedo quali elementi o azioni, apporterebbero calore e luce per iniziare a nutrire questo ecosistema?

    Inoltre non parlo italiano, sono messicana che vive in Francia, ma la mia applicazione mi ha aiutato a scriverti in questa lingua. 😀

    Mè stato bello leggere questo post, ti seguo da tempo perché sento in te una professionale molto umana e preziosa. Grazie per la condivisione.

    Azucena

    1. Ciao Azucena, che bel commento che mi hai lasciato!

      La tua applicazione funziona piuttosto bene, perché ho compreso il tuo messaggio con chiarezza.

      Anche io, pensandomi nelle vesti di “imprenditrice”, avrei maggiore difficoltà a individuare un luogo virtuale in cui trovare persone con interessi e inclinazioni simili per condividere la quotidianità lavorativa o scambiare pareri, preoccupazioni e dubbi.

      Mi domando allora: perché non cercare nicchie dai contorni più definiti? Prendendo anche solo come esempio Facebook, potresti cercare nei gruppi dei traduttori, con cui condividi la passione per la comunicazione e per l’interculturalità, oppure nei gruppi che riuniscono persone che si occupano di applicazioni, con cui invece hai in comune l’interesse per la tecnologia.

      Puoi spaziare, curiosare e indagare tantissimi mondi, ma il mio consiglio è di cercare sempre di tradurli, a un certo punto, in occasioni di incontro reali. Questo perché, come ho scritto nell’articolo, sono le circostanze che fanno la differenza nel lungo periodo.

      Tienimi aggiornata e… in bocca al lupo 🙂

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