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Prove di traduzione e un paio di buone abitudini



Non esiste traduttore che non abbia mai svolto o ricevuto almeno una volta la richiesta di svolgere una traduzione di prova.

A meno che non si lavori soltanto ed esclusivamente con clienti diretti, che la chiedono di rado.

Per le agenzie di traduzione è abitudine piuttosto comune.

Alcune – anzi, per mia esperienza, pochissime – si limitano a chiedere esempi di traduzioni su cui si è già lavorato, ma su queste ultime il traduttore è spesso tenuto a mantenere la riservatezza e pertanto non possono essere utilizzate a tal fine.

Dunque si ritorna alla richiesta originaria: una prova di traduzione.

Una delle questioni più dibattute in questo ambito è la retribuzione.

Per alcuni traduttori, infatti, la prova di traduzione rientra nella fattispecie di un lavoro vero e proprio, richiedendo di fatto lo stesso tempo e le stesse energie di un qualsiasi altro testo commissionato dal cliente.

Del resto, a quale professionista viene richiesto di svolgere una parte del lavoro a riprova delle competenze acquisite e gratuitamente?

Pensate a un medico, a un avvocato, a un architetto.

Senza contare che spesso le agenzie presentano la prova di traduzione non perché hanno effettivamente bisogno, al momento, di una risorsa a cui affidare un progetto, ma soltanto per inserirle in una banca dati utile magari per usi futuri.

Quanto futuri, tuttavia, non è dato saperlo.

Altri colleghi, invece, considerano la prova di traduzione a titolo gratuito come una richiesta legittima, oppure – capita anche questo –  sentono di non poter fare diversamente, magari per timore di perdere il cliente che potrebbe rivolgersi facilmente ad altri.

In questo caso, tuttavia, la prova di traduzione equivale a un atto di cortesia nei confronti del committente e solitamente deve rispettare due requisiti fondamentali:

  • la brevità del testo da tradurre, che non dovrà superare i 1500/2000 caratteri (1 cartella o poco più);
  • una data di consegna senza carattere d’urgenza, che rispetti eventuali impegni del traduttore e dunque concordata di conseguenza. Il che significa che si ha una settimana particolarmente piena, si prenderanno accordi col cliente per una consegna in data successiva.

Manca però un dettaglio, che per me è un’abitudine positiva che è importante mettere in pratica sempre: definire tutti i dettagli della potenziale collaborazione futura prima di iniziare a lavorare sul testo.

Lo so, sembra un consiglio banale, una mera quisquilia.

Eppure, talvolta per inesperienza, può capitare di accogliere subito la richiesta da parte del cliente/dell’agenzia di traduzione e di rendersi conto soltanto in un secondo momento che la collaborazione proposta non sarebbe comunque vantaggiosa.

I motivi più comuni? Le tariffe che il cliente o l’agenzia vorrebbe proporre sono basse o il budget del progetto non copre neppure la metà del preventivo, o ancora, le condizioni contrattuali non sono del tutto convincenti.

Le ragioni possono essere molteplici.

Quale che sia il motivo, è sempre bene saperlo prima. Non trovate?

Sarò felicissima di leggere un tuo parere a riguardo, lasciami un commento!

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Questo articolo ha 6 commenti

  1. D’accordo su tutto. In editoria la prova di traduzione è una pratica comune e per certi versi comprensibile: una redazione può legittimamente voler sapere in anticipo come se la caverà quel traduttore con un determinato tipo di testo. Ma anche in quei casi valgono le regole che hai citato: certo, se parlando tra colleghi salta fuori che quella redazione sta mandando in giro prove di traduzione un po’ troppo lunghe sempre dallo stesso romanzo, la cosa deve insospettire.

    1. Piacere, Valentina, grazie per il commento!
      Concordo con te. Sono inoltre casi piuttosto spiacevoli che nel lungo termine finiscono per giocare a svantaggio del committente: da una parte avrà una traduzione di scarsissima qualità, dall’altra una pessima nomea tra gli addetti ai lavori.

      1. Ciao Alice,
        grazie dell’articolo che solleva una questione sempre attuale a cui porre attenzione.

        Sono d’accordo anche con il commento di Valentina, e vorrei aggiungere aggiungere una mia esperienza legata appunto alla traduzione in ambito editoriale (anche se non si tratta di narrativa).
        Mi è capitato di recente di ricevere la seguente richiesta da parte un un’agenzia editoriale con la quale collaboro spesso: un loro cliente ha in programma la pubblicazione di un testo letterario-saggistico su un argomento molto specifico, e richiede una (breve) prova di traduzione da parte di 3-4 traduttori per valutare la loro compatibilità con *questo* testo specifico. Si tratta quindi di trovare la voce giusta per un testo in particolare, non di valutare le competenze e le capacità del traduttore in questione. In editoria è una pratica abbastanza diffusa, e la prova può essere pagata o meno, dipende dagli accordi. Personalmente la trovo una pratica utile perché i testi che mi capita di affrontare sono molto diversi, spesso molto complessi, e non sempre si è in grado di entrarvi in sintonia (che sia una questione lessicale, stilistica o altro). Anche il traduttore ha così modo di valutare un testo specifico e capire se è nelle sue corde. In questo caso si è trattata di una prova molto breve (meno di 200 parole); so che case editrici possono chiedere anche diverse pagine (un paio di capitoli o estratti vari) quando si tratta di romanzi molto lunghi, ma non mi è mai capitato.
        Quando invece mi occupo io, in veste di esperto linguistico, della revisione di prove di traduzione volte a valutare le competenze di un traduttore che possa diventare un futuro collaboratore, si tratta sempre dello stesso brano (le agenzie con cui collaboro hanno 1-2 brani “standard” per ogni argomento/tipologia testuale), spesso ma non sempre tratto da un testo che ho tradotto io stessa. Inoltre, questi testi vengono rivisti da più persone in modo da garantire la maggiore obiettività possibile.
        Non tutte le realtà sono così, naturalmente, e concordo con te e Valentina sul fatto di stare in guardia e assicurarsi che la professionalità sia sempre rispettata da entrambe le parti.

        Grazie e buon lavoro!
        Daniela

        1. Buongiorno, Daniela, e grazie per il commento, che aggiunge un punto di vista diverso e prezioso.

          Sapevo che le prove di traduzione in ambito editoriale potessero avere altre declinazioni, ma non conoscevo i dettagli in maniera così specifica e di prima mano. È molto interessante vedere come, in base alle esigenze del settore, la prova possa assumere valenze diverse.

          1. Nell’ambito editoriale inteso come narrativa, invece, le prove solitamente sono molto più lunghe (diverse pagine, magari introduzione + primo capitolo, ecc) e, come sottolineato anche negli altri commenti, mirati all’assegnazione di un romanzo specifico.

        2. Quindi una sorta di “proposta editoriale” dove è la casa editrice a presentare una proposta a un traduttore con cui ha già (probabilmente) instaurato collaborazioni precedenti? In questo caso per il lavoro viene di norma pattuito un compenso?

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